Scese dalla macchina svogliatamente, le forze necessarie a combattere contro i genitori erano state immense, e Jean ne era uscito veramente provato. Diede una spinta alla portiera della Matiz, che però si posò senza rumore sui cardini. Imprecando tra sè e sè si riavvicinò alla macchina e chiuse lo sportello con violenza. Checco lo raggiunse e insieme si incamminarono verso casa. Durante il tragitto da casa Dandini sino alla zona universitara di Novoli Jean non aveva proferito parola, e Checco aveva rispettosamente accettato il suo turbamento. Camminarono in silenzio, con le mani affondate nei cappotti. Jean tirava su con il naso.
Checco decise di rompere il silenzio. -Pesante, vero?-
Jean alzò gli occhi, che in quel momento sembrarono gelidi come ghiaccio. -Non immagini quanto.-
Arrivarono di fronte al portone, Checco infilò la chiave la girò. Superate le due rampe di scale entrarono in casa.
L'appartamento era piccolo, ma molto accogliente. Checco aveva ereditato il gusto nell'arredamento da sua madre, inguaribile girovaga che aveva vissuto in decine di posti in tutto il mondo. Arazzi del Guatemala pendevano dalle pareti mischiandosi a manifesti parigini e il pavimento era coperto da tappeti persiani dei più svariati colori che s'intonavano perfettamente al divano coperto da un poncho messicano e al tavolo rustico tipicamente toscano. L'aria era pervasa dal solito odore d'incenso indiano.
L'appartamento era piccolo, ma molto accogliente. Checco aveva ereditato il gusto nell'arredamento da sua madre, inguaribile girovaga che aveva vissuto in decine di posti in tutto il mondo. Arazzi del Guatemala pendevano dalle pareti mischiandosi a manifesti parigini e il pavimento era coperto da tappeti persiani dei più svariati colori che s'intonavano perfettamente al divano coperto da un poncho messicano e al tavolo rustico tipicamente toscano. L'aria era pervasa dal solito odore d'incenso indiano.
I due si avviarono verso l'angolo cottura del salotto e si sedettero dopo essersi tolti i pesanti cappotti.
Jean era nel suo mondo, e Checco passò molti minuti ad osservarlo con attenzione mentre il suo amico si guardava le mani stringendole e aprendole quasi maniacalmente.
L'ombra di un sorriso si dipinse sul volto di Checco.-Sai Jean- disse- la cosa peggiore è che quando mi hai chiamato avevo appena preso il cellulare per chiamare la pizzeria a domicilio. Ho lo stomaco completamente vuoto.-
Jean si riscosse e guardò il suo amico negli occhi. Sorrise raggiante e pensò che un amico che lo capisse così a fondo non lo avrebbe trovato nemmeno cercandolo con impeto per tutto il mondo. Checco sapeva davvero come tirarlo su di morale.
Si alzò con uno scatto dalla sedia e disse con tono orgoglioso: -E che problema c'è? Ci penso io, tranquillo. Tanto alla fine quel benedetto fiiletto al pepe verde su a casa dei miei non l'ho nemmeno toccato.-
Si girò verso il frigo e lo aprì con occhi esperto.
Desolazione più totale. Ma Jean non si lasciò scoraggiare. C'era un sacchetto di fave, un po' di ricotta avanzata dal giorno prima e una cipolla più morta che viva. Le idee gli si schiarirono subito, e iniziò subito a mettersi all'opera.
Mise su l'acqua per la pasta e incominciò a sbucciare le fave. -Hai presente Delitto e Castigo di Dostoevskij?- Mentre cucinava Jean aumentava sempre la sua parlantina in modo esponenziale.
Checco, che era rimasto a guardarlo con interesse per tutto il tempo, gli rispose sorridendogli divertito: -Certo, me l'hai fatto leggere tu più o meno sei mesi fa...-
-Ecco, in questo momento mi sento come Raskol'nikov dopo che ha ucciso la vecchia. So di aver fatto qualcosa di estremamente utile per il mio futuro sbattendo la porta in faccia ai miei genitori, ma mi sento usurato dentro da un senso di colpa immenso, come se mi stessi castigando da solo. Spero solo di vare fatto la cosa giusta.- Mentre parlava l'acqua aveva cominciato a bollire, e Jean aveva sbucciato le fave e tagliato in piccole rondelle la cipolla.
-Ecco, ora guarda.- disse Jean in preda ad una gioia immensa, come se avesse già dimenticato le sue preoccupazioni.
Buttò l'acqua nella pasta, mise a scaldare l'olio in una padella e poi vi gettò le cipolle. Quando queste si dorarono aggiunse le fave con un po' di sale.
Lo stomaco di Checco cominciò a gorgogliare, preda degli aromi provenienti dai fornelli. Jean emise una risata acuta. -Ci siamo quasi, bello!-
Jean scolò la pasta e la mise nella padella con le fave e aggiunse ricotta e pepe. Mise il tutto nei piatti, mentre Checco stappò una buona bottiglia di vino regalatogli dal padre, esperto sommelier. Jean servì l'amico con un sorriso, e insieme si apprestarono a mangiare.
Checco si portò un boccone di pasta alla bocca, Jean lo guardava con occhi fermi. Gli occhi dell'amico si illuminarono, e gli angoli della bocca si strinsero in una smorfia di piacere mentre masticava il boccone prelibato.
Checco guardò Jean dritto negli occhi, con tutta la serietà di cui era capace. - Non hai fatto male a ribellarti ai tuoi Jean. Tu devi fare il cuoco nella vita. Nient'altro.-
Continua...
Nessun commento:
Posta un commento