Sono passati alcuni giorni dall'ultima volta che ho scritto. Cinque per l'esattezza.
Non me la sentivo. Dopo la manifestazione di sabato mi sono sentito un po' schifato, un po' deluso, un po' arrabbiato. Un po' vuoto.
Mi sono sentito così perché mi sono trovato in mezzo a una cosa più grande di me, ma che alla fine si è dimostrata infinitamente più piccola dei miei ideali. I miei ideali, quelli di altre centinaia di migliaia di persone, che sabato hanno deciso come me di esprimere un disagio a chi fa finta di non accorgersene in maniera pacifica. L'unica maniera che conosca per far valere le mie idee.
Non voglio soffermarmi più sulla narrazione, ho già narrato tutto quello che potevo. Non voglio neanche commentare le azione dei cosiddetti "violenti", è stato detto troppo, nei salotti televisivi e sui giornali si è già spolpata fino all'osso la carcassa di una manifestazione imputridita dal cancro di una delegittimazione autorizzata.
Non voglio soffermarmi più sulla narrazione, ho già narrato tutto quello che potevo. Non voglio neanche commentare le azione dei cosiddetti "violenti", è stato detto troppo, nei salotti televisivi e sui giornali si è già spolpata fino all'osso la carcassa di una manifestazione imputridita dal cancro di una delegittimazione autorizzata.
L'unica cosa che mi preme dire è che non sono più sicuro di niente, dal punto di vista politico. Non sono più sicuro del fatto che valga ancora la pena manifestare in un Paese dove non si è liberi di farlo senza essere delegittimati in continuazione. Non sono più sicuro che serva urlare con tutta la propria voce fino a rimanerne senza più nemmeno un filo, visto che nessuno ti ascolta. Non sono più sicuro che ci sia un modo non dico per cambiare le cose, visto che lo stanno facendo da sole, ma per renderle migliori. Per aiutare il mondo a migliorare.
I violenti hanno fatto quel che hanno fatto,e sicuramente hanno avuto una mano da molto in alto per farlo. I pacifici che alzavano le mani inneggiando la fine delle violenze sono passati per violenti anche loro, prendendo più botte dei criminali che lanciavano sampietrini. I giornali hanno parlato sì della parte pacifica del corteo, ma solo a grandi linee, ignorandone completamente i contenuti.
Questo è quello che è accaduto, e non lo possiamo cambiare. Forse se si vuole cercare di cambiare una realtà che non ci appartiene non bisogna farlo sul piano politico. Forse bisogna trovare un'altra strada, ma purtroppo non so qual è.
Io scrivo, ma il mio cuore è in frantumi. Mentre le sirene squillavano nella sera, mentre le pietre volavano sopra la mia testa, mentre la mia gola era strozzata dal veleno fumoso dei lacrimogeni qualcosa in me cambiava. O meglio, moriva.
Le cose non cambiano da sole, ma i cambiamenti sono il prodotto delle nostre lotte. Più alziamo la testa e più dura sarà la repressione, ma noi che lottiamo per la giustizia, per fare della nostra un'esistenza piena, completa siamo duri e non ci arrendiamo.
RispondiEliminaE poi anche la sconfitta serve, anche se fa male. Serve a non commettere gli stessi errori al prossimo giro.
Non essere giù: non sei da solo, se fai due passi trovi una scema con cui chiacchierare. Pensa solo a tutti i compagni che per un'idea hanno rinunciato a tutto, perfino alla propria vita. Il coraggio glielo dobbiamo a loro.
Ti saluto,
Maria