martedì 6 dicembre 2011

Quarto. Rottura.


La forchetta indugiava nervosa sul pezzo di filetto, che era diventato oramai parte di una melma informe assieme alla salsa al pepe verde. Jean aveva gli occhi fissi sul piatto, intorno a lui oggetti di design misti a mobili del Seicento fiorentino lo guardavano con disapprovazione. Così come i suoi genitori, Lucienne e Carlo Dandini.
-Non posso credere che tu faccia sul serio. Non puoi darci una simile delusione!- si disperò la madre, stretta e fremente nel suo tailleur di raso - Con tutto quello che abbiamo fatto e stiamo facendo per te! Sei solo un piccolo ragazzino immaturo!- Era fuori di sé.
Carlo era invece calmo, aveva deciso di lasciare il figlio in balìa dell'ira della moglie. Della quale conosceva benissimo la forza che emanavano i suoi discorsi pronunciati con quel lieve accento provenzale, e l'annichilimento che essi provocavano nella determinazione del figlio. 
Il padre era appoggiato allo schienale, le posate perpendicolari all'asse trasversale del tavolo, le braccia incrociate mollamente sul petto.
La madre aveva abbandonato il filetto preparato dalla donna di servizio sul suo piatto, interrotta dalla foga delle sue parole ed era ritta sulla sua sedia con il dito indice che descriveva ampie volute nell'aria.
Jean alzò per un attimo gli occhi dall'ultimo boccone maciullato della sua pietanza e li fissò sui bottoni dell'abito materno -S'il vous plaît Maman! C'est ma, la décision.- Provò a parlarle in francese, la lingua della sua infanzia.
-Silence, Pierre!- Lucienne lo troncò sul nascere, facendogli ricacciare lo sguardo nei meandri della sua timidezza. -Devi scordartelo, non esiste! Tu e quel pazzo di mio fratello. Non avrai futuro, il mercato del lavoro sta peggiorando ogni anno di più, e tu te ne esci proprio ora con questa idea strampalata del cuoco? Abbiamo fatto di tutto per te, abbiamo sempre assecondato i tuoi desideri, non puoi darci una simile delusione.- 
La donna abbassò il dito e la sua voce si fece calda e avvolgente, rotta da una drammatica tristezza:-Noi ti vogliamo bene mon amour, non farci questo. Non ce lo meritiamo. Prosegui con la strada che hai intrapreso, rendici fieri. Je t'en prie, Jean.-
Jean ascolto le dolci parole finali di sua madre e si fece cullare dall'ossimoro che esse creavano con l'ira materna di poco prima. Si fece commuovere dalla preghiera recitata nello stesso idioma che aveva lenito i suoi pianti da fanciullo. Provò rabbia per se stesso, per il suo egoismo di fronte a dei genitori così magnanimi. Ma fu solo per un attimo.
La pena e l'autocommiserazione si trasformarono rapidamente in ira, e poi in una furia cieca. Diresse rapidamente i suoi occhi fiammeggianti dal piatto alle azzurre iridi della madre. Si alzò con uno scatto nervoso e sbatté con violenza sul tavolo il tovagliolo di seta che era appoggiato sulle sue gambe durante il pasto.
Lucienne aprì la bocca discretamente esprimendo uno sconcerto controllato, molto francese. Carlo lo guardò stordito, quasi come se non riuscisse nemmeno ad immaginare un comportamento del genere da parte del figlio, sempre così remissivo.
Jean aprì la bocca con sicurezza, ma le parole che vi uscirono, sebbene fossero alquanto decise, erano rotte dall'emozione. -Babbo, Mamma, io non voglio darvi una delusione. Ma per una volta nella mia vita ho deciso di seguire completamente il mio istinto e le mie passioni. Mi dispiace informarvi che non riuscirete a fermarmi. In nessun modo. Io voglio fare il cuoco ed è quello che farò. Sono stanco di questa vita di plastica, e soprattutto sono stanco di voi!-
Aveva pronunciato queste parole tutte d'un fiato, senza pensarci, senza badare alle espressioni a dir poco incredule e sbigottite dei genitori. Gli si erano infiammate le gote, e il suo sguardo saettava da una parte all'altra del salone in maniera nervosa.
Esitò un attimo di fronte alla sedia, poi pronunciò un flebile -Arrivederci.- e si diresse a passi svelti verso la porta.
Lucienne rimase incollata alla sedia, il suo viso era come marmorizzato, con la stessa espressione sbigottita.
Carlo si alzò lentamente dalla sedia e osservò il figlio affrettarsi verso l'ingresso della villa. -Se te ne vai ora, così, sappi che non avrai più nulla da noi. Non ti meriti nulla, ingrato! Scordati i soldi per pagare l'appartamen...- Jean sbatté con forza la porta blindata, lasciando i coniugi Dandini completamente esterrefatti, con un milione di rimproveri costretti a morire nelle loro gole.
Jean era fuori. Superò il cancello e si accese una sigaretta. Tirò fuori dalla tasca il cellulare e compose veloce un numero a lui abbastanza familiare. Si incamminò verso valle.
-Checco? Ciao.-
-Ciao Jean, tutto bene?- Il suo coinquilino aveva la voce un po' assonnata, ma produsse comunque un immenso piacere nell'animo turbato di Jean.
-Mi potresti venire a prendere davanti a casa dei miei? Sono a piedi.-


Continua...

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