martedì 4 ottobre 2011

Sono stato militare, una volta.

Colletti inamidati stringono il collo facendo affiorare dalla pelle umida di sudore il sinuoso profilo della carotide. Le medaglie sulla giacca di lana tintinnano cristalline al passaggio del caldo vento estivo. Il cappello è troppo stretto, crea un cerchio alla testa. Restare immobili è difficile, e doloroso. Ma il militare non lo sente, il dolore. E' solo una cerimonia. Una rappresentazione del lustro della Forza Armata.
Anch'io sono stato un militare. Anch'io mi sono sentito fiero di appartenere ad un blasone. Anch'io mi sono crogiolato in un fasto apparente ed inutile. Sono stato allievo di una Scuola Miliare, per due anni. Per due anni sono stato vicino ai militari, vicino al sistema, e mi sono accorto di quello che vi accadeva ed ancora vi accade. Per due anni il mio collo ha sudato, i miei muscoli hanno pianto per l'innaturale immobilità, la mia testa ha pulsato innumerevoli volte per un cappello troppo ridicolo per essere comodo. Per due anni sono stato un'inutile zecca attaccata allo Stato ed ai contribuenti. Poi ho abbandonato tutto. Ho ripiegato la divisa, ho messo il cappello nell'armadio e ho superato il cancello col filo spinato senza voltarmi. Non faceva per me.
Per due anni sono stato un parassita, dicevo.
Attraverso la mia esperienza mi sono accorto che nel nostro Paese ci sono ancora alcune realtà arcaiche, inutili, dispendiose. E il re di queste realtà è proprio il mondo militare. I militari sono privilegiati più di qualsiasi altro dipendente pubblico, la loro struttura gerarchica crea una vera e propria casta. La casta dei signori della guerra. O della pace, come direbbe Orwell.
Fare il militare mette un' ipoteca sulla pensione: loro infatti sono sicuri di andare in pensione. Mica come gli altri dipendenti statali. I normali funzionari infatti hanno il 50% per cento in meno di possibilità solo di vederla col binocolo, la pensione, rispetto agli stellettati. E a fine carriera per cinque anni la pensione è anche raddoppiata, perché si sa, una volta su settecentomila c'è la possibilità che tu possa essere richiamato in servizio. Fare il militare comporta che se sei Generale hai "diritto" a un appartamento ovunque tu vada, per te e la tua famiglia, completamente pagato dallo stato. Bollette comprese. Fare il militare comporta che se vai, come ho fatto io, a fare un corso di sopravvivenza in montagna lo fai in un ex albergo sul Terminillo, località turistica sull'Appennino laziale, tutto a spese dello Stato.
23 miliardi di euro l'anno. l'1,44 del PIL italiano. Ecco quanto ci costa mantenere fucili, carri armati, aerei da guerra e cacciatorpedinieri. Ecco quanto ci costa mantenere desuete tradizioni e inutili cerimonie per dimostrare la potenza di cartapesta del braccio armato dello Stato. E nel frattempo un giovane su tre non ha un lavoro, sbocciano come margherite a primavera contratti di lavoro a progetto o mensili e la maggior parte delle famiglie italiane non ha più nemmeno gli occhi per piangere.
Chiaramente il baratro economico non è colpa dei militari, loro non c'entrano. Ma sono una casta in un paese che le caste non le può più mantenere. Sono dei privilegiati senza alcuna necessaria funzione per i cittadini. Sono solo un'apparato burocratico troppo grande da eliminare, ma che tuttavia continua a contribuire a succhiare il poco sangue che ci è rimasto.
Ero militare una volta, poi me ne sono andato. Non perché li odiassi. Non a causa del mio odio per la guerra. Me ne sono andato perché per la prima volta mi sono sentito inutile. E per la prima volta venivo pagato per esserlo.
Li ho lasciati i militari, ma le cerimonie continuano. Bandiere si continuano ad alzare su pali altissimi. I colli continuano a sudare, i cappelli a stringere le teste rasate. E i soldi continuano a finire nel nulla della preparazione ad una guerra che ci potrebbe essere, ma che in realtà non c'è mai stata.

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