venerdì 18 novembre 2011

Secondo. Il Bar.

 Stava in ginocchio, sulla sedia. Il calore dei fornelli gli aveva scaldato le guance, che erano diventate di un rosso acceso. Con le mani che stringevano forte lo schienale guardava suo zio, che gli sorrideva mentre faceva saltare sulla padella le cime di rapa. Lui non aveva mai voluto assaggiare le cime di rapa, avevano un aspetto orribile, eppure non riusciva a staccare gli occhi da quel polso. Il polso di suo zio. Eseguiva un movimento talmente dolce e perfetto, che era impossibile da non ammirare.
Con la sua vocetta da bambino di quattro anni gli chiese di provare. Lui gli rispose di no, era troppo piccolo per stare ai fornelli. Gli disse che un giorno però, diventato grande, avrebbe potuto compiere quel movimento come professione, sarebbe potuto diventare cuoco.
Jean non rispose, rimase con gli occhi incollati al polso. Quel giorno per la prima volta mangiò le cime di rapa. E gli piacquero.

-Jean? Mi stai ascoltando?-
Jean si riscosse di colpo, alzò lo sguardo e rispose confusamente: -Si tesoro, ci sono, ci sono...-
Erano seduti ad un tavolino del bar Deanna, di fronte alla stazione dei treni, lui e Laura, la ragazza di una vita.
Si erano conosciuti alle Scuole Medie, e dopo tre anni di intensa amicizia, una volta ritrovatisi nella stessa classe ancora una volta al Liceo, si erano messi insieme. Sei anni. Jean inizialmente si era lasciato travolgere dalla passione. Dalla prima ragazza che avesse mai avuto. Dopo due anni però il suo desiderio si era affievolito, i suoi lunghi capelli biondi gli erano venuti a noia. Eppure non era mai riuscito a lasciarla, sia perché non ne aveva il coraggio, sia perchè Laura era l'unica fonte di sicurezza della sua vita.
-Non puoi assolutamente andare. Non per questo. Ti avevo già detto che potevi andare via per un anno di Erasmus, ma non puoi sospendere l'Università. Non per una sciocchezza simile.- Laura era concitata, i suoi occhi si movevano frenetici assieme alle sue labbra, completamente in balia della preoccupazione.
-Senti tesoro, non è ancora sicuro. E' solo una proposta quella che mi ha fatto Pierre, non so se accetterò. Certo è che è quello che ho sempre voluto fare, lo sai...-
Laura lo guardò con occhi tristi, inconsapevoli. Non riusciva a capire. -Ma oramai l'hai iniziata l'Università, sei riuscito a passare tutti gli esami! Lascia stare quel matto di tuo zio, ti prego!-
Jean abbassò lo sguardo. -Ascoltami amore -sospirò- capisco le tue perplessità, e ne ho anch'io. E' solo che mi sono riservato l'opportunità di pensarci, tutto qui.- Mentre parlava giocherellava con il cucchiano e con la tazzina del caffè, creando forme nella schiuma avanzata.
Laura si alzò:- Adesso devo andare al tirocinio Jean. So che farai la scelta giusta, non parliamone più.- Gli diede un bacio sul naso, si voltò e si incamminò verso la fermata del tram a passo svelto.
Jean la guardò allontanarsi, rimase con lo sguardo fisso anche quando lei sparì dal suo campo visivo. Le aveva mentito. Non era vero che aveva solo preso in considerazione l'offerta di suo zio. Dentro di sè l'aveva già accettata due sere prima, quando suo zio l'aveva chiamato da Marsiglia.
Gli aveva proposto un sogno, ciò che aveva sempre desiderato. Pierre aveva creato per suo nipote un vero e proprio programma professionale. Un programma che aveva come unica meta quella di diventare cuoco.
Jean sarebbe dovuto partire nel giro di due giorni per Marsiglia, dove si sarebbe imbarcato in una nave da crociera per sei mesi di praticantato all'interno della cucina della stessa, necessari per essere ammesso alla Academie Nationale de Cuisine, a Parigi.
Un sogno per Jean. Non poteva rifiutare. Tuttavia c'erano tante, troppe cose da valutare, da prendere in considerazione. E troppo poco tempo per farlo. Ce l'avrebbe fatta a lasciare Laura per più di un anno, rinunciando alla solida sicurezza che riusciva a dargli? Cosa avrebbe detto ai suoi genitori, così speranzosi per il suo futuro? Come avrebbe fatto a lasciare definitivamente l'Università?
Jean si alzò lasciando i soldi sul tavolino. Si incamminò verso il centro della città con le mani affondate nelle tasche del suo stretto impermeabile, e la sua mente vagava in cerca di risposte a queste domande.
Risposte che aveva, in fondo. Le domande che si stava ponendo erano frutto della sua patologica insicurezza, figlie della sua totale mancanza di coraggio. Quello che doveva fare lo sapeva.
E per una volta nella vita lo avrebbe fatto.

Continua...

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